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Appalto simulato e rischio penale.

31 Dicembre 2024
Scritto da Claudio Natali

Nell’esercizio quotidiano della professione capita di doversi occupare con frequenza sempre maggiore della rilevanza penale di talune modalità di gestione dell’attività produttiva mediante affidamento in appalto di alcune fasi delle lavorazioni aziendali.

Ne avevo già accennato in un precedente articolo sull’importanza della consulenza preventiva in materia penale sottolineando come, nell’attuale contesto giuridico-sociale, sia a mio avviso imprescindibile , per l’imprenditore, essere affiancato da figure professionali in possesso di competenze trasversali al fine di poter assumere scelte consapevoli.

La frequenza e le dimensioni del fenomeno meritano quindi un approfondimento ponderato sulla base delle conclusioni a cui la giurisprudenza di legittimità è approdata, spesso nel corso del giudizio incidentale cautelare.

Occorre prender le mosse dalle ragioni sottese al ricorso allo schema dell’appalto, soprattutto nell’ambito dei c.d. contratti ad alta intensità di manodopera (ossia quelli caratterizzati dalla preponderanza della componente lavoro) da parte della società committente.

Tutte le sentenze esaminate sono concordi nel ritenere che i committenti avessero fatto ricorso ad un contratto di appalto che in verità simulava una somministrazione illecita di manodopera per avere maggiore flessibilità (anche in relazione alla fluttuazione della richiesta di manodopera aggiuntiva in ragione della produttività aziendale) e per evitare le problematiche (amministrative, gestionali, fiscali, sindacali previdenziali etc..) connesse alla gestione del personale. A ciò si aggiungeva poi l’ulteriore profilo di “appetibilità” costituito dall’abbattimento del costo del lavoro, tanto più rilevante qualora l’appalto “principale” fosse affiancato da altri contatti di subappalto (anch’essi simulati) stipulati dall’appaltatore principale con diversi subappaltatori che eseguivano a loro volta solo una frazione delle opere oggetto del negozio giuridico in essere con la società committente.

E da ultimo, ma da ultimo,  va considerato anche l’ulteriore e non irrilevante vantaggio costituito dalla detraibilità dell’IVA e del minor costo del lavoro, esclusi in caso di assunzione diretta delle maestranze impiegate nell’appalto ovvero in situazioni di lecita somministrazione di manodopera.

Da un punto di vista meramente contrattuale e letterale, tutti i contratti apparivano formalmente come appalti genuini, nell’esecuzione dei quali agli appaltatori era riconosciuta piena autonomia organizzativa e gestionale nell’esecuzione della prestazione affidata con (almeno) formale assunzione del rischio d’impresa.

Analizzando tuttavia le concrete modalità con cui l’opera veniva realizzata, venivano alla luce indizi della fittizietà di quegli appalti che in realtà nascondevano una somministrazione illecita di manodopera. La casistica è varia ma gli indici di fittizietà che ricorrono con maggior frequenza e che di fatto si sostanziano nell’esercizio di poteri propri della figura datoriale da parte della committente sono:

  • La modulazione diretta di costi e tariffe della forza lavoro “somministrata”, spesso a prezzi non di mercato;
  • Il controllo dei lavoratori dell’appaltatore, dei loro tempi di pausa e dei tempi di esecuzione del lavoro;
  • l’utilizzo da parte dell’appaltatore di mezzi, risorse, materiali ed attrezzi forniti dalla committente;
  • L’adozione da parte della committenza di specifiche disposizioni organizzative nei riguardi della forza lavoro altrui;
  • La richiesta di report sui lavoratori impiegati;
  • L’accordare la fruizione di ferie e permessi solo previa concertazione con il committente;
  • La scelta da parte della committenza di quali lavoratori in forza presso l’appaltatrice adibire a specifiche lavorazioni esternalizzate;
  • L’aver determinato le piante organiche dei dipendenti dell’appaltatore da impiegare in specifiche lavorazioni oggetto di appalto;

La giurisprudenza di legittimità ha quindi individuato il discrimen tra un appalto genuino ed uno non genuino nell’esercizio del potere di direzione e organizzazione dei dipendenti; si dovrà quindi verificare se all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva ed autonoma organizzazione del lavoro con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di mezzi propri ed assunzione da parte sua del rischio di impresa.

In caso contrario si dovrà ravvisare una interposizione illecita di manodopera e ritenere simulato il contratto  con conseguente impossibilità di utilizzare a fini IVA le fatture emesse dall’appaltatore: ciò poiché quelle fatture attengono ad operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto si è falsamente rappresentata una realtà documentale emergente dalla fattura (ossia che una determinata prestazione sia effettivamente intercorsa tra cedente e cessionario) che in realtà diverge dalla realtà commerciale. L’IVA in questione, infatti, è stata corrisposta ad un soggetto (l’appaltatore) che non era legittimato ad operare la rivalsa in ragione del divieto di intermediazione e del carattere fraudolento dell’operazione negoziale. Infatti nell’interposizione di manodopera, se vi è illiceità dell’oggetto (come nel presente caso) e se la natura del contratto tra committente e datore di lavoro terzo è fittizia, il committente non solo non potrà detrarre l’IVA ma dovrà anche eseguire gli adempimenti fiscali gravanti sul sostituto d’imposta.

In questo caso, peraltro, anche i costi  del lavoro diventano indetraibili per invalidità del titolo da cui scaturiscono in quanto configurante una somministrazione irregolare schermata da appalto di servizi.

Si viene quindi a configurare una situazione rilevante ai sensi dell’art. 2 D.lvo 74/2000  e dell’art. 25 quinquiesdecies D.L.vo 231/01 per quanto attiene alla responsabilità  amministrativa dipendente da reato dell’impresa-ente collettivo, che può comportare anche l’adozione di provvedimenti cautelari reali volti ad assicurare la futura confisca delle somme dovute all’Erario per effetto dell’evasione selle imposte e dell’IVA.

Avv. Claudio Natali, Foro di Modena.